L’insostenibile prezzo dello spreco
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Relazione introduttiva di Monica Tommasi per la XIV Conferenza Nazionale sull'Efficienza Energetica
L’impatto con la guerra di Putin ha costretto l’opinione pubblica dell’Unione Europea ad un bagno di realismo, a fare i conti con l’incertezza degli approvvigionamenti delle risorse e con l’aumento dei loro prezzi.
La caduta dei miti e la scoperta della sicurezza energetica
Scopriamo improvvisamente, e in situazione di emergenza, che accanto agli obiettivi di decarbonizzazione occorre garantire la sicurezza energetica per tutto il periodo di transizione e che esso non sarà breve. Siamo costretti a prendere atto che alla base della sicurezza energetica ci devono essere fonti di energia costante, certa, di utilizzo flessibile. Che, in assenza di nucleare, queste caratteristiche sono ancora oggi quelle dei combustibili fossili e che, non a caso, la corsa ad assicurare nuove forniture di gas in sostituzione di quelle russe è stata, comprensibilmente, la prima preoccupazione dei governi. Che, in Italia, 15 anni di sussidi e di attenzione quasi esclusiva allo sviluppo di fonti rinnovabili intermittenti hanno consentito, nel 2021, di coprire solo il 3,4% dei consumi finali di energia (1,79 Mtep di eolico e 2,14 Mtep di fotovoltaico), e che questo sforzo si è rivelato inutile difronte all’emergenza. Che, anche in Germania, il programma Energiewende, con i maggiori investimenti in Europa nello sviluppo di nuove rinnovabili, rivela ora la propria incapacità di alimentare in modo adeguato l’economia tedesca, tanto da rendere indispensabile l’ampliamento di nuove estese miniere di lignite a cielo aperto e di un conseguente rialzo di emissioni, anche quelle dannose per il clima.
Tutto ciò non emerge affatto in un dibattito esplicito, meno che mai a livello politico, anche considerando che la politica energetica e quella climatica sono sostanzialmente dettate dall’Europa che, su questi temi, nonostante le vistose contraddizioni, sembra soffrire delle stesse infatuazioni ideologiche di cui è affetta l’Italia. Tuttavia, cominciano a manifestarsi alcuni segnali di consapevolezza che le politiche emergenzialiste, basate su forzature, ottengano sistematicamente il risultato opposto rispetto agli obiettivi dichiarati.
Si ripara agli errori fatti sul gas nazionale
Diventa sempre più chiaro che non è vero che i combustibili fossili possano essere sostituiti in pochi anni solo da fonti rinnovabili elettriche intermittenti, idrogeno verde, batterie e veicoli elettrici come viene fatto credere da un approccio ambientalista superficiale, che ha condizionato l’Unione Europea nel suo Green Deal e che è riflesso nel pacchetto Fit for 55 e nel RePowerEU. Anzi, possiamo oggi constatare che le forzature in questa direzione, come la spinta negli scorsi anni a scoraggiare gli investimenti in nuove ricerche ed estrazioni e, più in generale, nella filiera di oil&gas, hanno aggravato l’esposizione al ricatto russo delle economie europee, particolarmente quelle prive di alternative, Italia compresa, precipitando famiglie e imprese in una crisi dei prezzi dell’energia senza precedenti.
È indicativo che le due misure più significative messe in atto per reagire all’emergenza dal governo Draghi, confermate dal nuovo governo e sostenute da amministratori locali responsabili, riguardino, da una parte i rigassificatori e, dall’altra, la valorizzazione del potenziale dell’Upstream italiano, superandone l’abbandono frettoloso.
A suo tempo, nonostante il fallimento del referendum sulle trivelle, la rinuncia a sfruttare il gas nazionale fu spacciata come passo decisivo verso la decarbonizzazione. Nella realtà del processo di transizione (che implica nel breve periodo un ruolo crescente del gas naturale e sempre molto significativo nel medio periodo), aver interrotto per lungo tempo lo sfruttamento dei pozzi ha prodotto un incremento del peso delle importazioni e dei costi relativi. Sul piano ambientale e climatico, inoltre, sono aumentate le emissioni di metano connesse ai bassi standard ambientali dei paesi di provenienza in aggiunta a quelle dovute alle modalità di trasporto.
Abbiamo stimato che, negli ultimi anni, con una maggiore produzione annua nazionale di 10 miliardi di m3 di gas naturale (e quindi una eguale quantità annua di minori importazioni di gas naturale), si sarebbero evitate a livello globale emissioni climalteranti per circa 3 milioni di tonnellate annue di CO2 equivalente indotte dai consumi dell'Italia (di cui un metà da mancate emissioni di metano e metà da mancate emissioni di CO2). Questi dati sono stimati in modo conservativo sulla base delle stime del rapporto ISPRA che verrà presentato nella 4a sessione.
Anche la Coop 27 ha registrato un calo di massimalismo e un progresso degli impegni migliorativi.
L’andamento contraddittorio della COP 27 in Egitto è stato espresso con efficacia dalla delusione del Commissario europeo Timmermans che non ha trovato terreno favorevole all’ennesimo tentativo di alzare l’asticella degli obiettivi di decarbonizzazione in modo velleitario e ha dovuto prendere atto di una leadership europea in affanno difronte alla volontà delle potenze emergenti di dettare le proprie scadenze e i propri interessi di sviluppo.
Fortunatamente, il bilancio finale è stato segnato dai passi positivi verso la costituzione di un fondo di intervento che offrirà supporto finanziario ai Paesi maggiormente colpiti da disastri climatici e ambientali, aiutandone la ripresa.
Ma è ancora più importante che a Sharm el Sheik, al di fuori dell’ingessatura delle procedure dell’IPCC, abbia continuato a crescere l’impegno per ridurre le emissioni dirette di metano da parte dei paesi che un anno fa avevano lanciato il Global Methane Pledge (GMP) con l’impegno alla riduzione del 30% rispetto al 2020 di tutte le emissioni di metano. Nei mesi scorsi è stato varato il GMP energy pathway. Ora, la “joint declaration from Importers and Exporters on reducing Greenhouse Gas Emissions from Fossil Fuels” è cappeggiata da paesi occidentali che pragmaticamente si prefiggono di ridurre le emissioni climalteranti legate all’uso dei combustibili fossili e, in particolare, del gas naturale lungo le catene di approvvigionamento. L’iniziativa è tanto più opportuna nella fase in cui i paesi forti importatori, come quelli UE, stanno limitando le importazioni dalla Russia e inaugurano nuove vie di approvvigionamento.
La quarta sessione di questa conferenza, nel pomeriggio del 6 dicembre, è dedicata a questo tema che in Italia ci ha visto impegnati negli ultimi due anni come Amici della Terra a fianco dell’associazione EDF, per la promozione di una specifica strategia per la riduzione delle emissioni che ha visto la partecipazione dei principali operatori della filiera. In questa occasione verrà presentato il nuovo Rapporto Ispra “Il metano nell’Inventario nazionale delle emissioni di gas serra. L’Italia e il Global Methane Pledge” a testimonianza dell’attenzione alla riduzione di queste emissioni da parte dell’organo di consulenza tecnica del governo.
Si riconsiderano i tabù che hanno penalizzato metà del paese per 30 anni
Le difficoltà dello scenario internazionale e il fallimento di politiche ambientali basate su approcci ideologici stanno iniziando a mettere in crisi alcuni tabù che fino ad oggi erano ritenuti inamovibili nella politica nostrana: oltre al “no trivelle” e al “no Tap” comincia a cedere il “no inceneritori” nelle regioni del Centro e del Sud.
Le iniziative del Sindaco di Roma e degli ultimi Presidenti della Regione Siciliana per dotarsi di impianti adeguati di recupero energetico dei rifiuti, in una prospettiva razionale di sviluppo dell’economia circolare, vanno finalmente nella direzione di superare un imbarazzante ritardo di una gran parte dell’Italia nella gestione dei rifiuti.
Anche in questo caso, occorre rilevare il danno provocato dalle politiche subalterne al tabù. La falsa suggestione di poter praticare un sistema di “zero rifiuti” ha prodotto nel caso italiano un rilevante aumento delle emissioni di gas serra (principalmente metano) legato allo sproporzionato ruolo che le discariche hanno ancora nella gestione dei rifiuti.
Le forzature europee sulla mobilità elettrica non aiutano i cambiamenti utili e già praticabili
Analoghi effetti si sono avuti con l’idea di poter conseguire una repentina elettrificazione della mobilità leggera negando un ruolo nel processo di transizione energetica per altri combustibili alternativi come il GNC (gas naturale compresso) insieme al BioGNC e gli altri biocombustibili liquidi. Nuovamente, una scelta di forzatura, come quella di dichiarare la fine dei motori endotermici nel 2035, su una opzione sostanzialmente non disponibile come alternativa pienamente fungibile (adeguatezza della rete elettrica, costi) non ha avuto i risultati attesi e ha invece prodotto un rallentamento della diffusione del gas naturale e dei biocombustibili nei trasporti leggeri, e un aumento delle motorizzazioni convenzionali con un conseguente aumento delle emissioni di gas serra del settore.
Considerando già disponibili nel breve-medio periodo opzioni come l’elettrificazione o l’idrogeno, più avanzate solo sulla carta, le politiche europee stanno rallentando, ormai da anni, lo sviluppo della filiera del GNL e del BioGNL e dei biorcarburanti nei trasporti stradali pesanti e in quelli navali. In assenza di alternative stiamo continuando a usare prodotti petroliferi, anche quelli più sporchi come l’olio combustibile (sia in termini di maggiori emissioni di gas serra che di inquinanti). In particolare, in Italia, ciò avviene con la diffusione degli scrubber sulle navi per rispettare i nuovi limiti IMO delle emissioni di zolfo, spostando il problema dall’atmosfera al mare con la produzione di fanghi tossici scaricati in acqua.
Una sfida importante per il nuovo Governo
Le sfide per il nuovo Governo italiano sono molteplici. La presidente Meloni ne sembra consapevole quando parla delle necessità di una visione coraggiosa e di strategie di lungo termine. Si tratta di individuare una strada non velleitaria per rispettare gli impegni di decarbonizzazione senza impoverire il paese, anzi favorendone la crescita e di farlo in corsa, provvedendo all’emergenza, garantendo la sicurezza nella transizione e scegliendo già oggi le strade più promettenti per il futuro.
La scadenza è quella della riscrittura del PNIEC che dovrà essere inviato a Bruxelles entro il 30 giugno del 2023: il governo può scegliere di rispettarla alla stregua di uno dei tanti adempimenti burocratici o può farne un momento di revisione complessiva delle politiche energetico climatiche, fino ad oggi fortemente condizionate da un approccio ideologico al tutto rinnovabile, avallato anche dalle tendenze europee che hanno fin qui prevalso e che dovrebbero anch’esse essere riviste alla luce della loro manifesta inadeguatezza.
Riteniamo importante il riferimento alla neutralità tecnologica, criterio che ricorre più volte nelle linee programmatiche del Governo e che è indispensabile per valutare costi e benefici di ogni opzione tecnologica, superando pregiudizi e suggestioni propagandistiche. Lo sosteniamo anche per le opzioni che gli Amici della Terra hanno storicamente avversato come il nucleare, per quelle che criticano come l’idrogeno e per quelle su cui mantengono perplessità, come la CCS. Per quanto ci riguarda, siamo disponibili da subito a dare un contributo positivo, purché siano poste le condizioni per valutazioni imparziali e trasparenti.
La necessità di un dibattito vero, senza censure
Certo, un obiettivo ambizioso di revisione delle politiche e del Piano italiano non sarà raggiunto nel chiuso delle stanze dei ministeri. È importante che si faccia tutto il necessario per ottenere un dibattito pubblico, che sia seriamente impostato dalle autorità esperte e condotto sulla base dei dati ufficiali. Che faccia emergere con chiarezza le criticità dei diversi scenari proposti e che consenta un confronto trasparente e obiettivo.
Non deve più accadere che l’informazione al pubblico sia dominata da cordate di potere che fanno prevalere i propri interessi grazie alla retorica della “salvezza del pianeta”. È una semplificazione falsa e pericolosa che incide negativamente anche su alcuni movimenti giovanili. Quelli convinti che non si stia facendo nulla per il clima e che occorra buttare della zuppa precotta sui capolavori d’arte per attirare l’attenzione dei governi. È venuto il momento di dire loro che non è vero che non si fa abbastanza ma che, forse, abbiamo fatto cose inutili nella direzione sbagliata, sprecando risorse. Sarebbe utile far sapere ai cittadini che le tariffe elettriche comprendono ancora i costi abnormi (più di 200 miliardi di euro) della stagione degli incentivi facili alle rinnovabili elettriche intermittenti. Un costo enorme per i soli impianti installati prima del 2020, dell’ordine di grandezza che l’Italia ha a disposizione oggi per il Recovery Plan (PNRR).
Un dibattito utile non dovrà più snobbare i centri di eccellenza (ce ne sono tanti in Italia) capaci di analisi “adulte” dei dati e di fornire elementi indispensabili di giudizio. Ad esempio, è incredibile che debbano essere gli Amici della Terra, e non la Tv di Stato, a chiedere al professor Zollino di chiarire a quanto ammonterebbero i costi per l’adeguamento della rete elettrica e per la realizzazione di accumuli nel caso in cui si volessero realizzare nei prossimi tre anni, tutti i progetti di pale eoliche e di campi fotovoltaici depositati e in attesa di autorizzazione – una ipotesi affatto peregrina visto che è perorata insistentemente, da oltre un anno, dalle imprese elettriche e da alcune forze politiche.
Un dibattito vero non potrà più ignorare i risvolti ambientali delle tecnologie green. Nella dimensione locale, non potrà relegare sbrigativamente sotto il capitolo Nimby gli impatti paesaggistici, sulla biodiversità e sullo sviluppo rurale, perché il consumo di suolo delle tecnologie diffuse è altissimo e lo sviluppo disordinato e casuale dei grandi impianti eolici e fotovoltaici rischia di precludere gli spazi naturali ad ogni altra attività economica o culturale.
Né sarà possibile continuare a snobbare la dimensione globale delle nuove esigenze di estrazione mineraria che pongono enormi problemi di sostenibilità ambientale e sociale e persino di aggravamento della crisi climatica, a causa del dispendio energetico ed emissivo della filiera. Inoltre, è singolare che proprio mentre cerchiamo di porre rimedio ai disastrosi effetti della dipendenza energetica da un solo paese, i problemi di approvvigionamento delle nuove forniture di metalli e materiali siano confinati alle riviste specializzate di geopolitica. (Ce ne parleranno Giovanni Brussato e Federico Fubini nel corso della prima sessione).
Ripartire dall’analisi dei consumi
L’Italia è impegnata in una fase prolungata di difficoltà economiche, legate prima alla pandemia e oggi alla guerra, che stanno facendo emergere ancor di più gli errori di una impostazione delle politiche energetico-ambientali europee che utilizzano il livello dei consumi come indicatore di miglioramento dell’efficienza energetica.
Il crollo dei consumi di energia nel 2020 (-8,4%) aveva già fatto apparentemente raggiungere l’obiettivo finale 2030 di efficienza energetica, fissato nel PNEC 2020 a circa 103 Mtep nei consumi finali. Già nel 2021, i consumi hanno avuto un rimbalzo con una crescita delll’11,4%, e nel 2022, nonostante la nuova crisi dei prezzi, è prevedibile che restino stabili. Questi dati hanno fatto fare, nel 2020, un balzo del livello di penetrazione delle fonti rinnovabili dal 18 al 20,4% ma solo grazie alla crisi Covid, visto che, nel 2021, il dato è già calato al 18,9%, e che, nel 2022, calerà ulteriormente. Anche in Italia, dopo il picco di riduzione nel 2020 (- 26,5% rispetto al livello del 1990) legato prevalentemente alla crisi Covid, le emissioni di gas serra sono risalite del 6,8% nel 2021 e, anche qui, nel 2022, questo trend di allontanamento dagli obiettivi continuerà.
È evidente che stanno saltando tutti gli schemi delle politiche UE di decarbonizzazione e che queste vanno profondamente ripensate.
Dare maggiore attenzione ai consumi termici
È indispensabile avere presente che ancora oggi il principale macro-comparto di consumi finali è quello termico che, mediamente, negli ultimi anni pesa per il 45%, seguito con il 33% circa dai consumi per trasporti e infine dai consumi di elettricità che pesano solo per poco più del 20%.
La forzatura, in atto ormai da più di un decennio in Italia, sul ruolo delle rinnovabili elettriche intermittenti ha prodotto la necessità di sviluppare un sistema parallelo di back-up basato sulla flessibilità di un nuovo parco di centrali a gas naturale incentivato dai meccanismi di capacity payement e finanziato tramite gli oneri generali pagati in tariffa. Un’ulteriore forzatura in questa direzione appare poco sostenibile, anche perché legata a scenari obiettivo inconsistenti di una repentina maggiore elettrificazione dei consumi energetici. Nella realtà, l’elettrificazione dei consumi è ormai bloccata da un decennio ad un livello di penetrazione elettrica attorno al 20%.
Da questo punto di vista, l’industria del riscaldamento e del raffrescamento si rivela più previdente e resiliente di quanto non prevedano gli indirizzi politici e una nuova generazione di apparecchi ibridi (pompe di calore e caldaie efficienti) consente di intervenire sugli edifici esistenti con gradualità ottenendo sempre migliori risultati relativi a consumi ed emissioni. Ne parleremo nella terza sessione della Conferenza che affronterà anche il tema di come integrare l’efficienza con il comfort abitativo e i sistemi di ricambio dell’aria.
Governare la domanda di energia, anche in emergenza
Oggi, mentre opinione pubblica e dibattito politico sono ancora divisi fra la consapevolezza di dover accrescere la sicurezza energetica e l’illusione che ancora più investimenti in nuove rinnovabili possano addirittura aiutarci ad affrontare la scarsità degli approvvigionamenti, a noi sembra che tornare a considerare l’efficienza come un approccio prioritario alla questione energetica rappresenti una strada obbligata.
In emergenza, una rinnovata capacità di governare la domanda di energia, anche a livello micro, secondo autorevoli osservatori, è lo strumento più utile e immediato per calmierare i prezzi, facendo coincidere l’interesse collettivo con quello individuale.
Per dare il giusto rilievo alla promozione di comportamenti orientati al risparmio, anche al fine di scongiurare il più possibile il rischio di razionamenti coatti non programmati nel corso dell’emergenza, abbiamo chiesto all’Enea di illustrare, nella prima sessione della Conferenza, il Piano di misure di risparmio energetico predisposto dall’Enea.
#Primalefficienza: la migliore decarbonizzazione di fronte alla crisi dei prezzi
Secondo il rapporto annuale dell’Agenzia Internazionale dell’Energia “Energy Efficiency 2022” uscito venerdì 2 dicembre, nel corso di quest’anno, a livello internazionale, come reazione alla crisi mondiale dei prezzi energetici legata alla guerra, vi è stato un forte aumento degli investimenti in efficienza energetica (+16% rispetto al 2021). Ciò, secondo la IEA, ha prodotto una conseguente accelerazione del tasso di miglioramento dell’intensità energetica globale che, nel 2022, dovrebbe raggiungere il 2% quadruplicando il suo valore dopo essere rimasto fermo a 0,5% negli ultimi anni.
Questi dati confermano che, anche in Italia, questo è il momento mettere in campo strumenti adeguati di promozione dell’efficienza energetica per sostenere famiglie e imprese che si stanno orientando a investire per ridurre gli sprechi di energia, piuttosto che continuare a impegnare risorse pubbliche negli aiuti a pioggia indifferenziati contro il caro bollette. In questo modo, il paese potrebbe fare dei passi in avanti strutturali verso la riduzione dei costi energetici, la sicurezza energetica e gli obiettivi di decarbonizzazione recuperando il ruolo prioritario della promozione dell’efficienza energetica che è stato formalmente riconosciuto dalla UE con l’assunzione del principio “efficiency first” e che, poi, è rimasto sulla carta rispetto allo sbilanciamento sostanziale dell’impostazione dell’European Green Deal e del pacchetto “Fit for 55” verso rinnovabili elettriche intermittenti, mobilità individuale elettrica e idrogeno.
A questo proposito, salutiamo con favore che il Ministro Pichetto Fratin nelle sue linee programmatiche abbia annunciato l’intenzione di semplificare le procedure di accesso ai Certificati Bianchi, che costituiscono uno dei pochi strumenti per promuovere e misurare riduzioni reali delle emissioni e risparmio di risorse e che negli ultimi anni sono stati fatti deperire fin quasi all’esaurimento. A nostro parere un rilancio di questo strumento potrebbe beneficiare anche delle modifiche introdotte al regime UE degli aiuti di stato nell’attuale fase di crisi economica e energetica.
Nella seconda sessione del 5 dicembre, daremo voce alle concrete testimonianze di tecnologie e sistemi adottati dall’industria italiana anche in assenza di un concreto sostegno e valorizzazione pubblici. Se applicati nei diversi settori di produzione e consumo, queste innovazioni possono consentire all’Europa di progredire nella decarbonizzazione, di sottrarsi alla dipendenza dal gas naturale russo e di ridurre gli effetti della crisi energetica sull’economia e la società.
Conclusioni
È l’efficienza, nella più ampia accezione di uso razionale delle risorse, che consente di conseguire una riduzione graduale, ma certa e progressiva, dei consumi di energia e delle emissioni climalteranti in Italia e in tutto il mondo, basata su un’ampia gamma di soluzioni disponibili e sul trasferimento di tecnologie.
È la sola chiave di lettura che resiste negli anni e che non ha subito smentite, forse perché non deriva dall’ideologia, ma da un approccio pragmatico e dall’esperienza.
Per questo torniamo a riproporla, certi di poter ottenere infine la giusta attenzione nell’impostazione della politica energetica del Paese. Non ci sentiamo soli: il numero 14 delle edizioni della Conferenza sta a testimoniare che c’è la solidità della durata e che siamo in buona compagnia.