Ritratto di inceneritore

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DESCRIZIONE E FUNZIONAMENTO DELL'IMPIANTO DI ACERRA

di Vito Iaboni

Non si devono neanche nominare, perché la legge li ha di fatto soppressi. Niente più “inceneritori”, dunque, solo sinonimi: “termovalorizzatori”. Perché basta il nome ad aizzare le folle, si tratti di gente comune o camorristi, vescovi e missionari, esperti “di movimento o mosche cocchiere “verdi”. Anche l’inceneritore di Acerra ha avuto pessima stampa: si è detto che è un pericolo pubblico, che avvelena, addirittura che è un ferrovecchio che non funziona. Vero? Falso? Vito Iaboni ha sottoposto l’impianto a un’analisi rigorosa e ora ne espone i risultati. Con alcune sorprese.

L’impianto di termovalorizzazione di rifiuti è situato nel Comune di Acerra (NA), in località Pantano, ai margini del consorzio industriale. L’area dell’impianto di estende su una superficie di circa 9 ettari.

Concepito alla fine degli anni ‘90 nel contesto dell’emergenza rifiuti in Campania, la sua costruzione è stata per lungo tempo procastinata a causa delle contestazioni di cui è stato oggetto, concernenti anche aspetti giudiziari.
L’impianto, il cui schema è riportato in figura 1, produce energia elettrica dalla combustione della frazione secca dei rifiuti urbani.
Esso è costituito da tre linee indipendenti di eguale capacità, operanti in parallelo, da un’unica sezione di produzione di energia elettrica, da sistemi e componenti ausiliari comuni alle 3 linee.
La prima delle tre linee è stata avviata il 26 marzo 2009; la seconda e la terza rispettivamente il 2 e l’8 maggio 2009. Dal 14 settembre 2009 il termovalorizzatore è pienamente operativo, in grado di produrre energia dallo smaltimento di circa 2 mila tonnellate al giorno di rifiuti tritovagliati, per un totale di 600 mila tonnellate l’anno.
Dall’inizio della sua attività fino al mese di gennaio 2012 l’impianto ha trattato oltre 1.294.000 tonnellate di rifiuti, producendo circa 1.260.000 MWh di energia elettrica.


Figura 1 – Schema di funzionamento dell’impianto
Fonte: Osservatorio Ambientale del termovalorizzatore di Acerra [1]

L’impianto costituisce, nei suoi caratteri generali una compiuta espressione realizzativa dei moderni, elevati, standard europei in tema di valorizzazione energetica dei rifiuti urbani, con particolare riguardo alla struttura ed articolazione delle sue varie sezioni che consentono di coniugare elevate prestazioni energetiche con livelli emissivi molto ridotti.
In linea generale la sua configurazione rispecchia quella comunemente adottata a livello nazionale che prevede, nel caso degli impianti di grossa taglia, la realizzazione di più linee di combustione operanti in parallelo, ciascuna dotata di una propria unità di recupero energetico tramite la produzione vapore e di un sistema di trattamento dei fumi. Il vapore prodotto dalle tre linee confluisce in un unico ciclo termico costituito da una turbina accoppiata a un generatore di energia elettrica.
Per quanto riguarda la configurazione, l’impianto fa ricorso a schemi consolidati, che rispondono ai requisiti di carattere non solo ambientale ma anche tecnico-economico individuati, sia a livello nazionale che europeo, come le “migliori tecniche disponibili” (BAT/“Best Available Techniques”).
In particolare la sezione di combustione è costituita da un forno a griglia mobile integrato con il generatore di vapore, che risulta la tecnologia di più ampia diffusione a livello mondiale, in grado di offrire le migliori garanzie globali in termini di referenze, affidabilità, efficacia e sicurezza.
Anche il sistema di trattamento dei fumi si presenta piuttosto articolato, in linea con la tendenza che si va riscontrando a livello nazionale che prevede l’impiego di sistemi di depurazione multistadio per la rimozione delle polveri e dei gas acidi che non danno luogo alla produzione di effluenti liquidi da sottoporre a successivo trattamento.
E’ inoltre presente un’unità finale di riduzione selettiva degli ossidi di azoto (“DeNOx”) di tipo catalitico (SCR), in grado di svolgere anche un’azione di “polishing” finale nei confronti dei microinquinanti organici clorurati (le cosiddette “diossine”).
Le emissioni in atmosfera vengono costantemente monitorate in tempo reale dall’Arpac (Agenzia Regionale Protezione Ambientale Campania) attraverso un “Sistema di Monitoraggio Elettronico” (SME) [1] e sono consultabili sul sito www.arpacampania.it tramite le seguenti tre centraline:
- Acerra città - Plesso scolastico “G. Caporale” in piazza Falcone e Borsellino.
Analizzatori presenti: NOx (ossidi di azoto), PM10 e PM2,5 (polveri sottili), BTX (Benzene-Toluene-Xilene), SO2 (anidride solforosa), O3 (ozono), H2S (acido solfidrico);
- Acerra zona industriale - Sito dell’azienda Delfino SpA, in via Contrada Pagliarone, 2
Analizzatori presenti: NOx (ossidi di azoto), PM10 e PM2,5 (polveri sottili), BTX (Benzene-Toluene-Xilene), SO2 (anidride solforosa), O3 (ozono), CO (monossido di carbonio), CH4 (metano), THC (idrocarburi), NMHC (idrocarburi non metanici), H2S (acido solfidrico);
- San Felice a Cancello - Area scolastica di Cancello Scalo, scuola “Aldo Moro”, in via XXI Giugno.
Analizzatori presenti: NOx (ossidi di azoto), PM10 e PM2,5 (polveri sottili), BTX (Benzene-Toluene-Xilene), SO2 (anidride solforosa), O3 (ozono), H2S (acido solfidrico).
Inoltre per monitorare la possibile presenza di altri microinquinanti [1], l’Arpac ha installato, in corrispondenza delle suddette centraline, apparecchiature per la raccolta delle deposizioni atmosferiche e per effettuare con frequenza mensile analisi per la ricerca di diossine e furani, idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti.
I limiti sulle emissioni garantiti dall’impianto sono inferiori a quelli adottati per altri impianti a tecnologia avanzata realizzati in Italia e all’estero. Le concentrazioni d’inquinanti nei fumi sono, infatti, di gran lunga inferiori a quelle stabilite dalla normativa italiana in materia di incenerimento di rifiuti. In caso di superamento dei limiti, specifici sistemi di controllo bloccano automaticamente l’impianto.
L’impianto è stato progettato per il trattamento di combustibile derivato da rifiuti (CDR) rispondente alle caratteristiche e ai requisiti prescritti dal DM 5 febbraio 1998 e s.m.i., ma, dal punto di vista tecnico, è in grado di trattare rifiuti urbani che hanno subito trattamenti più blandi (la cosiddetta “frazione secca” o “secco” o, facendo ricorso a un neologismo più recente, il “tritovagliato”) e che pertanto possono non rispondere alle caratteristiche richieste per il CDR, in accordo alle deroghe normative intervenute successivamente e a quanto prescritto dall’autorizzazione integrata ambientale (AIA).
Le principali caratteristiche dell’impianto [2] possono essere così riassunte:
- la capacità di trattamento complessiva di progetto è pari a 1.950 t/g di CDR avente un potere calorifico inferiore (PCI) di 15.070 kJ/kg, corrispondente ad un carico termico di 340 MW;
- in tali condizioni il turbogeneratore è in grado di erogare una potenza elettrica lorda pari a 107,5 MW, corrispondente ad un rendimento elettrico lordo pari al 31,6%;
- le suddette prestazioni energetiche (di molto superiori a quelle di norma riscontrabili sia a livello nazionale che europeo) sono rese possibili grazie all’adozione di condizioni operative per il vapore (pressione 90 bar, temperatura 500°C) che trovano pochi riscontri similari;
- l’impianto deve inoltre essere in grado di rispettare valori limite di emissione, prescritti dall’AIA, che risultano di gran lunga inferiori a quelli previsti dalla normativa nazionale che regolamenta gli impianti di incenerimento (DLgs 133/2005).
Una considerazione specifica merita la taglia dell’impianto la cui esatta definizione è correttamente individuata dal parametro “carico termico”, definito come prodotto della portata oraria dei rifiuti trattati per il loro PCI. Ciò in considerazione del fatto che, soprattutto nella realtà nazionale, gli impianti di recupero energetico sono in grado di trattare rifiuti di origine urbana e non, sottoposti o meno a pre-trattamenti più o meno complessi (rifiuti urbani residui, frazione secca, CDR, rifiuti sanitari ecc.), anche in combinazione fra di loro.
Alla luce di quanto sopra esposto e in considerazione del carico termico di progetto pari a 340 MW, si può affermare che l’impianto di Acerra è il più grande a livello nazionale e si colloca al terzo posto in Europa rispetto al parametro preso come riferimento.
Occorre rilevare che gli impianti di grossa taglia, soprattutto a livello europeo, sono spesso frutto di successive ristrutturazioni e/o ampliamenti; la loro taglia complessiva, sia in termini di carico termico che di capacità di trattamento ponderale, consegue dalla presenza di un numero maggiore (fino a 7) di linee di termovalorizzazione che, a loro volta, inviano il vapore prodotto dal recupero energetico a 2 o più unità di produzione di energia elettrica, in ciascuna delle quali è presente un gruppo turbina a vapore/generatore.

Bibliografia
[1] Osservatorio Ambientale del termovalorizzatore di Acerra http://www.osservatorioacerra.it/erc/Acerra/AC_HomePage/AC_Impianto/ERC-...
[2] Iaboni V., Barni E., De Stefanis P. “Valutazione del costo di investimento del termovalorizzatore di Acerra” - Memoria a convegno Ecomondo 2010 - Rimini.