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La nave dei veleni - Lo scandalo dei rifiuti Italiani in Nigeria

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COMUNICATO STAMPA 

Roma, 7 luglio 1988 

Situazione di grave pericolo nella discarica di Koko: è la denuncia degli “Amici della Terra” dopo un’ispezione in Nigeria. Chiesto un intervento di emergenza del Governo italiano, con i fondi della cooperazione allo sviluppo. Critiche alle misure predisposte dal Ministero dell’Ambiente: si sollecita un decreto legge per vietare le esportazioni di rifiuti nel Terzo Mondo e varare un piano di bonifica delle discariche abusive in Italia. Esposto alla Procura della Repubblica di Roma per un’inchiesta sulle ditte esportatrici di rifiuti nel Terzo Mondo.

 

Una bomba inesplosa

In una conferenza stampa tenuta oggi a Roma, gli Amici della Terra hanno presentato i risultati preliminari di un’indagine effettuata, su incarico del Governo nigeriano, nella discarica di Koko. Sono intervenuti il Presidente dell’Associazione, Mario Signorino, l’inglese Charles Secrett, dirigente della Federazione internazionale degli Amici della Terra, l’on.le Gianni Lanzingher del Gruppo Verde, gli esponenti dell’associazione italiana Giulio de Belvis e Laura Radiconcini.

La prima conclusione è preoccupante: nella discarica di Koko ci sono rischi immediati di incendio ed esplosioni, di inquinamento delle riserve di acqua potabile, di contaminazione degli abitanti del posto: una vera e propria bomba, che potrebbe esplodere da un momento all’altro. 

Lo Stato italiano è responsabile

Da tutta la vicenda – ha detto Mario Signorino – emerge la responsabilità internazionale dello Stato italiano. Secondo molti autori, lo Stato risponde del danno ambientale a titolo di responsabilità oggettiva: ma anche secondo le impostazioni tradizionali della dottrina, lo Stato risponde degli illeciti dei privati cittadini per “colpa”, per non aver cioè adottato misure atte a prevenire la commissione di reati: e questo è manifestamente il caso del trasporto di rifiuti in Nigeria.

Ne consegue l’obbligo di riparare il danno prodotto e di impedire nuovi e peggiori disastri.

Subito, una task-force italiana a Koko

Ribaltando in positivo l’illecito internazionale dell’Italia, Signorino ha chiesto che il Ministero degli Esteri si impegni con il Governo nigeriano all’esportazione dei rifiuti e alla bonifica della discarica di Koko; e negozi quindi l’invio urgente di una task-force di tecnici dell’ENEA esperti in decommissioning.

Da sondaggi svolti dagli Amici della Terra ci sarebbe la disponibilità dell’Ente energetico, se richiesto ovviamente dal Governo. E’ stata perciò inviata una lettera al Ministro degli Esteri, Andreotti, e al Sottosegretario Raffaelli, responsabile della cooperazione.

L’iniziativa dovrebbe essere finanziata con i fondi per gli interventi di emergenza, salva poi la necessaria rivalsa sulle industrie e sugli esportatori responsabili.

Nella lettera si chiede di predisporre analoghi interventi in tutti i Paesi del Terzo Mondo destinatari dei nostri rifiuti tossici, facendo rientrare il problema nella nostra politica di cooperazione allo sviluppo.

Bloccare le esportazioni nel Terzo Mondo

A giudizio degli Amici della Terra, le misure annunciate dal Ministro dell’Ambiente sono gravemente inadeguate e si muovono secondo le linee arretrate della legge 441/1987, che vanno riviste con urgenza.

In particolare, si chiede che il Ministro dell’Ambiente emani un decreto-legge che stabilisca, per il momento, un doppio regime per le spedizioni transfrontaliere dei rifiuti: divieto assoluto di esportazione nei Paesi del Terzo Mondo e regolamentazione rigida delle spedizioni nei Paesi sottosviluppati, con il recepimento degli indirizzi elaborati dall’ONU e dall’OCSE e soprattutto delle direttive comunitarie: 84/631 (detta “severo bis”), 78/319, 85/469, 86/121, 86/279.

Il doppio regime risponde a preoccupazioni di gradualità nell’applicazione di un indirizzo che tendenzialmente dovrebbe imporre lo smaltimento dei rifiuti nei luoghi in cui si producono.

Nessun rinvio invece è ammissibile per il blocco delle esportazioni nel Terzo Mondo, per l’impossibilità di controlli seri sulle destinazioni finali e sulle condizioni di sicurezza delle discariche, nonché per la maggiore vulnerabilità di quelle zone rispetto agli inquinamenti.

Un piano nazionale di bonifica

Il provvedimento dovrebbe inoltre porre le condizioni per l’avvio di un piano nazionale di bonifica delle discariche abusive e di sistemazione controllata dei rifiuti tossici; stabilire la responsabilità oggettiva delle industrie produttrici di rifiuti, anche riguardo alla loro destinazione finale; imporre alle industrie l’obbligo di tenere una contabilità analitica dei rifiuti prodotti, del trattamento e della loro sistemazione.

Un sistema coordinato di misure fiscali e di incentivi dovrebbe spingere le industrie ad adottare piani di massima riduzione dei rifiuti prodotti, chiudendo così in modo ecologicamente accettabile i cicli produttivi.

Un’indagine sui pirati dei rifiuti

Gli Amici della Terra hanno infine elaborato un documentato dossier sui traffici transfrontalieri dei rifiuti tossici e nocivi, che hanno trasmesso alla Procura della Repubblica di Roma quale notitia criminis. Viene particolarmente sollecitata un’indagine sull’universo piratesco dei trafficanti di rifiuti nel Terzo Mondo.

I veleni italiani nel Terzo Mondo

Secondo i dati forniti dal Corpo forestale dello Stato, che ha fatto un primo censimento delle discariche abusive in Italia, ogni anno sarebbero esportati circa 500 mila tonnellate di rifiuti tossici e nocivi pari al 10 per cento del totale dei rifiuti tossici prodotti in Italia (5-10 milioni di tonnellate), ma certamente quelli a più alta pericolosità.

Secondo la stessa fonte, in Italia si producono annualmente 50 milioni circa di tonnellate di rifiuti industriali, di cui soltanto il 10-15 per cento viene smaltito secondo le prescrizioni di legge in appositi impianti e depositi. Il resto finisce nelle discariche abusive e nelle cave abbandonate, sui greti dei fiumi o in mare, in depositi  precari o, appunto, vengono esportati.

E’ chiara a tutti l’urgenza di sottoporre a controllo questa massa immane di veleni e rifiuti.

Quanto costerà l’operazione Koko

Secondo i calcoli degli Amici della Terra, il trasporto dei rifiuti a Koko, il recupero e la sistemazione di essi in Italia, la bonifica della discarica nigeriana costeranno complessivamente 20 miliardi di lire circa.

La cifra è stata ricavata nel seguente modo: secondo le valutazioni dei tecnici degli AdT inviati in Nigeria, il costo medio di spedizione e sistemazione dei rifiuti esportati a Koko si aggira sulle 2.300 lire al chilo (il costo medio internazionale va da 1.000 a 3.000 lire al chilo); il che darebbe una cifra di 8 miliardi per la sistemazione delle 3.500 tonnellate di rifiuti a Koko.

Occorre poi calcolare altri 10 miliardi per il trasporto dei rifiuti in Italia e la loro sistemazione secondo le prescrizioni di legge e più di 2 miliardi per la bonifica della discarica di Koko. In totale, più di 20 miliardi, pari a 5.700 lire al chilo, che fanno dell’operazione Koko un episodio di contrabbando assolutamente antieconomico. Sarebbe costato molto meno smaltirli nel pieno rispetto della legge.

L’ISPEZIONE DEGLI AMICI DELLA TERRA

Una  commissione tecnico-scientifica degli Amici della Terra internazionali si è recata dal 21 al 24 giugno a Koko, su invito del Governo Federale Nigeriano, per ispezionare la discarica contenente fusti di rifiuti tossici e nocivi.

Più dettagliatamente l’indagine, con valutazione assolutamente al di sopra delle parti, si riprometteva di determinare la natura e l’eventuale rischio di radioattività e di indicare le necessarie operazioni di smaltimento dei rifiuti e di bonifica del sito.

Il responsabile della missione, Charles Secrett della Federazione Internazionale degli Amici della Terra, ha incontrato alcuni rappresentanti del Governo locale, i quali hanno fornito molti documenti ufficiali con indicazioni sull’iter percorso dai rifiuti e sulle responsabilità di cittadini italiani. La discarica pregna di un odore acre e nauseante, è situata in un terreno di circa un ettaro, mal recintato, senza custodia permanente. Essa col suo potenziale inquinante incontrollabile, rappresenta un pericolo per l’incolumità delle popolazioni del villaggio vicino e per le fonti del loro approvvigionamento idrico ed alimentare. Da un primo accertamento, si è rilevato che i rifiuti provengono per la maggior parte dall’Italia, dalla Germania Ovest e dalla Norvegia; ammontano a circa 3.500 tonnellate contenute in 8-10 mila bidoni da 210 litri ed in circa 60 tra grandi sacchi e container.

Dal punto di vista della composizione, nell’attesa della conferma nei prossimi giorni dei risultati dei test di laboratorio, pur accantonando per il momento l’ipotesi di un rischio radioattivo, gli Amici della Terra evidenziano la situazione di emergenza, sia igienico-sanitaria che ambientale, a causa della pericolosità dei rifiuti e dello stato di avanzato e progressivo deterioramento dei contenitori. Nella metà dei casi, questi si presentano accatastati in precario equilibrio, squarciati o fissurati, rigonfi per la pressione dei vapori interni ed addirittura emittenti suoni di ribollimento (popping). Il rischio d’incendio o di esplosioni, sia per la natura dei materiali che per le elevate temperature cui sono sottoposti, è reale.

E’ stato confermato che, nottetempo, alcuni indigeni si sono introdotti nella discarica, hanno svuotato alcuni bidoni e, senza alcuna cautela, li hanno “riciclati” come contenitori per l’acqua potabile.

Le sostanze accatastate (tra cui policlorobifenili, noti cancerogeni oramai banditi in molti Paesi industrializzati, solventi, residui di verniciatura, code di distillazione, scarichi acidi, ceneri volatili da combustione) possono certamente avere contaminato le falde acquifere, il suolo, le piantagioni limitrofe e probabilmente lo stesso fiume Niger.

 

fotografie: archivio Amici della Terra