Incenerimento: un tabù da cancellare

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Per una politica responsabile di gestione dei rifiuti - Convegno Nazionale organizzato dagli Amici della Terra, Milano 1995

intervento di Rosa Filippini, Presidente degli Amici della Terra

Con questo incontro non intendiamo fornire altri dati rispetto a quelli già noti, non avanzeremo nuove proposte di legge, non presenteremo soluzioni tecnologiche innovative. Non faremo l'ennesimo convegno "colto" sui rifiuti. 

Il nostro scopo è quello di rendere chiaro ed esplicito al pubblico ciò che è già documentato e riconosciuto dagli esperti del settore, siano essi di formazione “ambientalista” o “industrialista”, cioè che il ritardo maturato nell’attuazione delle normative sui rifiuti e una più realistica analisi del rendimento delle strategie di riduzione e di recupero rendono indispensabile la realizzazione immediata di impianti di termocombustione con recupero di energia.

Siamo convinti che spetti a noi, in quanto ambientalisti, abbattere un muro di pregiudizi che oggi rende difficile un’informazione corretta e consente strumentalizzazioni di ogni tipo, a cominciare da quelle politiche, che favoriscono il caos anziché soluzioni razionali e appropriate.

Abbiamo deciso di adoperare parole tabù come “incenerimento” anziché optare per formule corrette ma solo apparentemente rassicuranti, come “energia da rifiuti”, perché questa è la parola che, evocando il pericolo diossina e i rischi per la salute, suscita paura e rivolte nelle popolazioni.

Poiché si tratta di paure ampiamente giustificate dalla gestione non sempre corretta di impianti obsoleti, non possiamo permettere che esse siano agitate irresponsabilmente per impedire la costruzione di nuovi impianti che utilizzano tecnologie capaci di superare i rischi registrati in passato e quelli derivanti dalla situazione ancor più insostenibile di oggi.

L’evidenza dei dati

Sono gli stessi dati sulla produzione e sullo smaltimento che non lasciano spazio a divergenze significative sulle soluzioni all’emergenza endemica provocata dai rifiuti nel nostro paese. Occorre mettere in rilievo che i dati sullo smaltimento, forniti recentemente da Federambiente, sono relativi al circuito legale ed escludono l’abbandono incontrollato, le discariche abusive, il circuito gestito dalla malavita. I dati che sfuggono ai censimenti possono essere solo stimati ma sono certamente rilevanti e determinano un danno incalcolabile all’ambiente naturale, alle falde idrogeologiche, al patrimonio culturale e paesaggistico del nostro paese.

 

 

La divergenza degli indirizzi europei.

Ma è il confronto con gli altri paesi avanzati e con gli indirizzi approvati dall’unione Europea, attuati in molti paesi e solo formalmente accettati dall’Italia, che illustra meglio il paradosso di un sistema dove l’emergenza endemica provocata dal continuo rinvio delle decisioni, ha favorito la discarica e l’abbandono incontrollato come sistemi prevalenti di smaltimento.

Fin dal 1990, attraverso una serie di atti significativi (Metodologia dei flussi prioritari, 1990; V programma per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile, 1993; direttive sui rifiuti, 1993; regolamento sui trasporti transfrontalieri, 1993; direttiva sugli imballaggi, 1995) l’Unione Europea ha fissato i quattro punti base per un corretto approccio al problema dei rifiuti: riduzione alla fonte, recupero e riciclaggio, corretto smaltimento, ricorso residuale alla discarica.

Senza dubbio la genericità dei documenti ha contribuito a determinare uno sbilanciamento, soprattutto tenendo conto delle situazioni di partenza. Non solo i dati sul recupero, ma anche quelli sull’incenerimento con recupero di energia, sono un esempio evidente del divario oggi esistente con gi altri paesi avanzati. In sintesi, l’Italia rappresenta oggi un’eccezione: e non una felice eccezione.

Il ritardo dell’Italia

L’anomalia italiana nasce dalla mancanza di una politica. Gli Amici della Terra, insieme all’ENEA hanno prodotto fin dal 1989, per conto del ministero dell’Ambiente, le linee guida per l’elaborazione del programma triennale sui rifiuti che anticipavano gli indirizzi europei (in particolar modo per ciò che riguarda la riduzione a monte) e indicavano con chiarezza la strada di una gestione integrata. L’immobilismo e l’incapacità ad operare della pubblica amministrazione hanno fatto sì che quel lavoro rimanesse nei cassetti del Ministero e che il Piano triennale previsto dalla legge 475/88, non fosse mai definito.
 
Oggi, alla luce delle esperienze e del lavoro di numerosi centri di studio e ricerca, le proposte di gestione integrata vengono avanzate dagli ambiti più autorevoli, pubblici e privati.

D’altra parte, l’esaurimento delle discariche esistenti, gli alti prezzi imposti da una domanda di smaltimento in eccesso rispetto all’offerta, la disponibilità di tecnologie efficienti e sperimentate anche sotto il profilo ambientale consentirebbero ad ogni impresa che opera nel settore con differenti tecnologie di trovare il proprio spazio di mercato e di contribuire ad un sistema integrato.

È' importante, a questo proposito, che non si passi da una demonizzazione all'altra: anche le discariche avranno un ruolo nello smaltimento, residuale ma insostituibile. Quando cesseranno di essere impropriamente (attraverso le ordinanze ex art. 12) l’unico sbocco all’emergenza, la loro gestione corretta avrà un impatto ambientale e sociale molto ridotto. Insomma, così come per tutti i problemi complessi, anche per la gestione dei rifiuti non esiste una bacchetta magica capace di risolvere da sola tutti gli aspetti del problema. Anche una raccolta differenziate gestita con mezzi e criteri all’avanguardia non potrebbe rappresentare l’azzeramento del problema.
Chi lo sostiene nasconde una verità essenziale: le soluzioni possono essere solo molteplici, appropriate ed integrate.
 

Aspetti normativi, operativi, di controllo

Siamo consapevoli della necessità di una riforma del sistema normativo, autorizzativo e fiscale più coerente con una corretta politica di gestione dei rifiuti, anche se questi aspetti non saranno trattati in questa sede perché il convegno non è onnicomprensivo.

Vogliamo soffermarci su due punti che ci appaiono particolarmente attinenti al tema trattato oggi: l’operatività della pubblica amministrazione, e il problema del consenso.

Già nel 1989, proprio nello studio citato sui rifiuti, osservavamo che “alla sovrabbondanza della normazione fa riscontro una carenza non solo nel campo della vigilanza, ma anche in quello dell’analisi e del monitoraggio. Manca, in altri termini, una struttura decentrata e articolata di laboratori di analisi capaci di rispondere a costi contenuti e in tempi rapidi alle esigenze di un sistema produttivo frammentato come quello italiano.(…) In genere i nuovi dispositivi legislativi non prevedono la necessità di potenziamento delle strutture che debbono attuarli; regolamenti e norme non vengono sottoposti ad una verifica sperimentale di gestibilità e di economicità, per mancanza di strumenti di valutazione”.

Imposte dal referendum sui controlli ambientali del 93 e dalla legge 61/94, oggi, quelle strutture esistono, a livello centrale e in alcune Regioni: si chiamano ANPA e Agenzie Regionali per l’ambiente. Il grave ritardo di alcune Regioni e un imperdonabile riflesso di conservazione dei pubblici poteri impedisce ancora che esse siano perfettamente funzionanti. È interesse di tutti affrettare la loro costituzione e rimuovere gli ostacoli alla loro operatività, perché senza strutture tecniche competenti non è possibile costruire politiche serie, tantomeno attuarle, e nemmeno legiferare seriamente. Non è possibile soprattutto dare alle popolazioni le garanzie che giustamente chiedono: se la costruzione e la gestione degli impianti deve vedere il concorso dei privati, la credibilità della pubblica amministrazione e dei suoi strumenti di supporto è la premessa fondamentale per affrontare i problemi di consenso.

Un tabù da cancellare

Infine, siamo coscienti, con questa nostra iniziativa, di dar corso ad una provocazione nei confronti di un sistema che, anziché usare argomenti convincenti per risolvere i problemi, ricorre sempre più spesso ad immagini accattivanti per cercare di aggirarli. Come quando, anziché semplificare la normativa e dare attuazione ad un sistema efficiente di controlli, si preferisce cambiar nome ai rifiuti, che divengono “residui riutilizzabili”, o come quando l’impianto di compostaggio viene presentato come un giardino pieno di fiori.
Non stupisce che, per reazione, l’informazione più ascoltata diventi quella diffusa dal Gabibbo.

Gli Amici della Terra credono, al contrario, che per costruire uno sviluppo ambientalmente sostenibile occorra aver più fiducia nella democrazia e allargare gli strumenti di informazione corretta e di partecipazione. A volte (lo abbiamo già fatto quando provocammo le ire degli altri ambientalisti sostenendo che dovessero cessare le agitazioni contro il ritorno delle “navi dei veleni” nei nostri porti) vale la pena affrontare un’apparente impopolarità per dire “pane al pane” e “inceneritore all’inceneritore”. Perché gli inceneritori di oggi non producono fiori, ma nemmeno diossina.

Questo convegno è, dunque, il primo passo di un iniziativa politica che vuole abbattere un pregiudizio, un tabù che ostacola un approccio realistico al problema. È dovere di un ambientalista combattere l’attuale malgoverno dei rifiuti che offende il territorio e l’ambiente. È nostro dovere togliere ai responsabili del malgoverno l’alibi di un ambientalismo sordo alla ragione. È nostro dovere concorrere, assieme a tutti i soggetti di buona volontà dell’associazionismo, dell’imprenditoria, delle istituzioni, a realizzare finalmente in Italia gli obiettivi di corretta gestione dei rifiuti che sono fissati dalle leggi e dalle direttive dell’Unione Europea.

Anche per questo, oggi, è più che mai necessario realizzare quel patto, quella coalizione per la responsabilità ambientale che abbiamo proposto proprio a Milano nell’aprile scorso. I pregiudizi hanno già fatto tutto il danno possibile, è ora di impegnarsi.